VOI CHE VI SIETE PERSE IL SESSANTOTTO…

di  | 

Qualche tempo fa, Daria Bignardi, classe 1961, ha scritto su Vanity Fair: “Avrei voluto nascere vent’anni prima per respirare l’atmosfera del Sessantotto”. In effetti, rivolgendomi a un pubblico femminile come il vostro, gentili lettrici che siete venute al mondo per lo più nel decennio a cavallo del 1967, io, che nel 1968 ero già sufficientemente ragazzo da amare i Beatles e i Rolling Stones, contestare i professori del liceo e portare i capelli così lunghi da indignare il parentado, mi chiedo se anche voi abbiate la sensazione di essere arrivate tardi.
Perché, ammesso che foste già venute al mondo, eravate ancora troppo bambine per restare sveglie nella notte in cui Neil Armstrong compì un piccolo passo per l’uomo, ma un grande balzo per l’umanità o in quella di Italia-Germania 4-3, la partita di calcio che ci fece diventare tutti patrioti, o per leggere con stupore che a Città del Capo un chirurgo con la faccia da playboy di nome John Barnard aveva realizzato il primo trapianto di cuore su un essere umano, o per piangere alla notizia dell’assassinio del senatore Robert Kennedy, o per votare sì o no al referendum sul divorzio, o per accogliere con stupore e indossare con ardore le prime minigonne. Ma, soprattutto, per respirare, proprio come sogna la Bignardi, l’atmosfera del Sessantotto, che cambiò non solo il corso della Storia, ma anche e soprattutto la visione della Società che da lì in poi non sarebbe stata più la stessa. Ma voi non c’eravate o, se c’eravate, facevate la nanna

Così, forse, in alcune a volte affiora il rimpianto di appartenere alla generazione successiva a quella che coniava slogan tipo “Tremate-tremate- le streghe son tornate” o “L’utero è mio e lo gestisco io”, che oggi fanno sorridere, ma allora incutevano il terrore nelle cosiddette maggioranze silenziose e benpensanti. Volendo infierire sul vostro eventuale senso di frustrazione, si potrebbe però ricordare che di qualche privilegio avete goduto pure voi. In fondo, siete state probabilmente l’ultima generazione che ha saltato con la corda, che ha cantilenato “un-due-tre-stella”, che ha chiamato da un telefono a gettoni, che ha ballato al suono di un juke-box, che non è andata a scuola per Halloween (ma allora si chiamava Ognissanti), e la prima ad aver giocato ai videogame, ancorché rudimentali come Tetris e Pac-Man, ad aver visto in Tv i cartoni animati a colori, ad avere portato in pianta stabile pantaloni a campana, a sigaretta o a zampa di elefante. E poi avete pianto per Candy Candy, ballato con Heather Parisi e le sue cicale, cantato con Cristina D’Avena, trepidato per Kiss me Licia e, diventando più grandicelle, vi siete immedesimate con le bambine della Casa nella prateria, con le adolescenti di Beverly Hills 90210, con i giovani talenti di Saranno famosi, per innamorarvi alla fine di Simon Le BonPer non parlare poi di Bim Bum Bam condotto da un giovane Paolo Bonolis non ancora miliardario (in lire), ma già logorroico, delle sorpresine del Mulino Bianco dove non s’erano ancora insediati Banderas e la gallina Rosita, del Drive In e Hansfidanken, di Mimì Ayuara e di sua cugina Mila che se la intendeva con Shiro, due cuori nella pallavolo. E forse avete concesso il primo bacio a un fidanzatino brufoloso sulle note della colonna sonora del vostro film preferito, Il tempo delle mele, prima di scatenarvi con la musica di Grease. Insomma, un po’ di cose a loro modo memorabili le avete archiviate pure voi. Però, vi manca la testimonianza di quel periodo che nel 2018 festeggerà il cinquantenario e chissà con quanta enfasi, con quanta malinconia, ma anche con quante patetiche recriminazioni noi reduci lo celebreremo.

Nel frattempo, un po’ come Gaetano Currieri, che invitava i più giovani a chiedergli chi erano i Beatles, mi piace immaginare che voi, gentili lettrici, mi chiediate cos’era mai  questo benedetto Sessantotto.
E, poiché si potrebbero scrivere decine di libri sull’argomento, risponderò ricordando solo ciò che di fondamentale quel periodo e gli anni immediatamente successivi portarono nel mondo delle donne, che in fondo si trasformò più di ogni altro, e non per merito esclusivo delle lotte femministe, che furono solo la punta estrema di un movimento generalizzato che svariava dalle madonne alle puttane, entrambe molto presenti negli striscioni alle manifestazioni dell’epoca.
Fu allora, per esempio, che vennero approvate norme legislative considerate quasi rivoluzionarie, a cominciare dalla riforma del diritto di famiglia. Prima, tutto era deciso dal capofamiglia e la moglie (altro che coppie di fatto e unioni civili…) doveva avere il permesso del marito per ogni decisione che riguardasse lei o i propri figli. L’adulterio femminile veniva punito dalla legge e la consorte… sgualdrina poteva finire in galera mentre verso il maschio fedifrago quasi si ammiccava e, anche se riconosciuto traditore, se la cavava con una serie infinita di attenuanti. E il vile reato che oggi viene definito femminicidio allora era spesso perdonato, in quanto “delitto d’onore”.
Passando alle frivolezze, sul fronte del look, le ragazze cominciarono a vestirsi in modo libero, non più seguendo i dettami della mamma, ma piuttosto quelli di Mary Quant, che la Regina Elisabetta nominò Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico per la sua rivoluzionaria intuizione di accorciare le sottane.

Ma i veri cambiamenti drastici arrivarono sul piano del lavoro, degli studi e delle professioni. All’Università, per esempio, negli Anni 50 erano iscritte pochissime donne, soprattutto in certi indirizzi di studio, al contrario di oggi con quasi tutte le facoltà in maggioranza femminili, comprese quelle scientifiche, antico feudo maschile. E poi si cominciò ad affrontare il dilemma ancora attuale: scegliere tra i figli e la carriera, parola che, applicata all’universo femminile, prima sottintendeva nell’immaginario collettivo, un’arpia che cercava a gomitate di farsi strada e di guadagnare più soldi, infischiandosene del suo ruolo atavico di moglie e madre, ma che poi venne derubricata a diritto di entrambi i sessi, anche se il tema resta spinoso, come di certo molte di voi hanno sperimentato sulla propria pelle.
Certo, la battaglia che cominciò in quegli anni formidabili non è ancora vinta del tutto perché, se sulla carta c’è la parità e la metà della popolazione femminile italiana oggi ha un impiego extradomestico, le donne sono tuttora penalizzate dal mondo del lavoro, a partire dalle anacronistiche sperequazioni salariali. Inoltre, sappiamo che non è facile cambiare nel profondo la psicologia di un Paese, anche perché molti degli ideali del Sessantotto sono stati traditi proprio da chi li propugnava. E così, come purtroppo ci insegna la cronaca, questioni che sembravano risolte ai tempi lontani della guerra del Vietnam riemergono nell’era dell’Isis sotto forma di rigurgiti di violenza contro le donne, segno forse di non accettazione da parte di chi crede ancora che fosse migliore il mondo di prima.
Quindi, anche se quella rivoluzione l’avete appena sfiorata, toglietevi dalla testa l’idea di essere arrivate quando tutto era ormai finito. Certo, di qualche conquista potete godere per averla ereditata dalle sorelle maggiori, ma tante altre hanno avuto bisogno, e ancora ne avranno, per essere raggiunte, del vostro fattivo contributo. E pazienza se ogni tanto vi scoprirete a chiedervi non solo chi erano i Beatles, ma anche se Mila e Shiro alla fine si sono sposati o se il loro amore si è infranto sul muro dell’ultimo tie-break. Un po’ come certi sogni delle ragazze del Sessantotto.

 

Scrivetemi a: francobonera@signoresidiventa.com