
Il film testamento di Nanni Moretti arriva dritto al cuore
Il sol dell’avvenire
un film di Nanni Moretti
sceneggiatura di Nanni Moretti, Francesca Marciano, Federica Pontremoli, Valia Santella
con Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Mathieu Amalric, Nanni Moretti, Valentina Romani, Teco Celio, Zsolt Anger, Jerzy Stuhr
In sala dal 20 aprile _____________________________________________________________
Ebbene sì, nella travolgente scena finale, una festa corteo, un sogno diventato realtà, una sfilata di affetti (ci sono tutti, anche l’ex moglie Silvia Nono e gli amici di sempre, fra cui l’ultima apparizione di Renato Carpentieri) lo confesso, le lacrime mi scendevano senza pudore sulle guance e gli occhi lucidi li avevo da un po’. Il fatto è che Moretti è sempre riuscito, fin dal suo primo film, Ecce bombo, 45 anni fa, ahinoi, a dire qualcosa che mi rappresentava. Anche se non sempre ero d’accordo con lui, capivo esattamente quello che mi stava raccontando. Una questione generazionale? Di sicuro. O di tribù di nicchia? Anche. Del resto c’è una frase famosa che Nanni Moretti pronuncia in Caro Diario: “Stavo pensando una cosa molto triste: cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove ci sono un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un’isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza.”
Ma andiamo con ordine, volendo riassumere il film possiamo dire che Il sol dell’avvenire racconta la storia di un regista, Giovanni (Nanni Moretti) che sta girando un film su una coppia di militanti del Pci (Silvio Orlando e Barbara Bobulova) che hanno invitato nel loro quartiere, lo storico Quarticciolo, un circo ungherese, proprio in concomitanza con l’invasione dei carri armati sovietici del 1956. Un evento che scatena il dibattito all’Unità e nella sezione Antonio Gramsci del quartiere. Intanto la moglie di Giovanni, Paola (Margherita Buy) che è la sua produttrice, sta seguendo anche un film in stile Gomorra e vuole lasciare il marito, ma non osa dirglielo. La figlia si è fidanzata con un funzionario dell’ambasciata polacca che ha 40 anni più di lei. Insomma, il mondo va in una direzione diversa da quella che piacerebbe a Giovanni. Fra cose piccole e grandi niente va per il verso giusto. La protagonista del film indossa i detestati sabot, Giovanni vorrebbe girare più film invece di uno ogni cinque anni, e ne ha anche in mente un paio, il primo da Il nuotatore il bellissimo racconto di Cheever (già ne esiste uno con Burt Lancaster) e soprattutto un musical che racconti l’Italia attraverso le nostre canzoni. Quest’ultimo lo sogna, mettendo in scena l’amore di una giovane coppia, in colori caramella.
Se la partenza ricorda Il ritorno di Casanova, il bel film di Gabriele Salvatores (storia di un regista che sta girando un film molto simile alla sua vita), lo svolgimento è completamente diverso, dove Salvatores raffredda e rende ogni inquadratura studiata e sofisticata, Moretti sceglie la via calda a tratti anche bollente di un mélo dove, si sarebbe detto una volta, il privato è politico. In più qui il politico diventa privato e l’onnipotenza della creazione artistica permette di scrivere la storia anche con i se.
Chi conosce e ama Moretti ci troverà tutti i tic e le ossessioni dei film precedenti, a tratti lo stesso egocentrismo e la stessa arroganza ma anche per la prima volta una dolce fragilità assente persino nell’episodio di Caro diario dove raccontava la sua malattia. Ingiusto raccontare i dettagli di questo film funambolico (non solo perché ci sono gli artisti del circo), è troppo bello scoprirli nel corso della visione. Voglio però dire che Nanni Moretti affronta tutti i temi più delicati del mondo attuale, con lo sguardo intelligente di un quasi settantenne che molto ha vissuto e molto ha pensato. Ci sono questioni che non capisce, ma se un tempo si sarebbe messo a giudice sanzionando, adesso con più morbidezza entra in sintonia coi tempi e cerca persino con umiltà di capire.
Il brio di un film che dura solo 95 minuti, la ricchezza e la generosità della storia e dei dialoghi sono sicura che dipenda anche dalla mano felice delle tre sceneggiatrici che lo hanno affiancato (a me è sempre molto piaciuta Francesca Marciano). Come già avevo scritto per il film di Salvatores, anche questo di Moretti è il suo Otto e mezzo. Anche qui Fellini viene omaggiato apertamente, prima di tutto nelle magiche scene del circo ma anche per la scelta di girare in parte a Cinecittà. Ma non è solo Fellini il riferimento cinefilo di Moretti, ci sono scene che sembrano prese di peso dalla filmografia di Woody Allen, c’è una citazione importante dal Breve film sull’uccidere di Krzysztof Kieślowski e quindi sullo “sguardo etico”, ovvero il modo in cui un regista decide di mostrare una certa scena. Una lezione morale ma non moralistica all’interno di un film di finzione, come mettere qualche pagina di saggio in un romanzo, senza bisogno di acrobazie né giustificazioni, un po’ come quando Woody Allen fermava il vero Marshall McLuhan nella coda all’ingresso di un cinema per chiedergli un parere.
C’è qualcosa di speciale anche sullo stile di recitazione scelto da Nanni Moretti. Antirealistico, sembra declamare invece di recitare, parla con lentezza come a voler punteggiare quello che sta dicendo, provocando un effetto di straniamento brechtiano. Nei crediti ci sono i nomi di pochi attori, al film ne prendono parte molti molti di più, in scene di massa tutte essenziali e girate con grande respiro.
Il sol dell’avvenire è un film libero, che sprigiona un’anarchia creativa rigenerante e mette in scena un grande sogno. Un film testamento in cui Moretti mette tutto quello che speravo riuscisse a raccontare e che in certe struggenti sequenze ha i colori di un addio. Ma io quel musical, che sia sulla storia d’amore fra i due giovani o sul pasticcere trotskista avrei proprio voglia di vederlo.
Il sol dell’avvenire sarà in concorso a Cannes e che bello sarebbe se vincesse qualche premio: lo merita.
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