
Il piccolo capolavoro di Paola Cortellesi vola in alto
C’è ancora domani
Regia di Paola Cortellesi
con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni
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Tre milioni e mezzo di euro di incassi nella prima settimana di programmazione per un film italiano è qualcosa che non si vedeva da tempo. Ci è riuscita Paola Cortellesi e di sicuro il successo continuerà perché la soddisfazione e l’emozione del pubblico in sala a fine proiezione sono palpabili e il passaparola è assicurato.
Siamo a Roma, nella primavera del 1946, in un’Italia in bianco e nero, con le ferite della guerra ancora fresche, le code davanti ai negozi con la tessera per prendere pasta e farina, i soldati americani che presidiano la città e donne senza diritti a cui ogni uomo può urlare di tacere e di occuparsi solo della cucina e dei bambini. Un’Italia ferma all’Ottocento dove qualcosa però sta cambiando e sono proprio questi fermenti che la regista, con la sua mano gentile, vuole raccontare.
La strada è quella di un cinema lieve, facile, popolare, ma, a tutti quelli che storcono il naso di fronte al successo di C’è ancora domani, dico, provate un po’ voi a replicare la ricetta, visto che vi sembra così semplice.
Delia, interpretata da Paola Cortellesi, è una donna del popolo che non ha un attimo di respiro. Vive col marito manesco (Valerio Mastandrea, perfetto) in uno scantinato, con tre figli, due ragazzetti e una giovinetta e il suocero burbero che non si alza dal letto e vuol essere servito e riverito. Delia ha occhi per tutto, pulisce, si occupa dei figli, cucina, non ha un attimo per sé. Si arrabatta con lavoretti malpagati per arrotondare le entrate, rammenda, fa le iniezioni a domicilio, aggiusta gli ombrelli. Non si ribella, perché questa è la vita, non si lamenta, neanche quando il marito la riempie di botte ingiustificate, perché è nervoso, perché ha bevuto, perché ha fatto due guerre, perché ha la luna di traverso, e, in fondo, perché no? Si è sempre fatto così, anche suo padre malmenava la moglie.
Il film però non diventa mai cupo e trova il modo di alleviare anche i momenti peggiori mettendo in gioco un’anima pop che ricorda Susanna Nicchiarelli ma anche un film come Maria Antonietta di Sofia Coppola. Ci affezioniamo a Delia, ci fa tenerezza in ogni istante, la seguiamo al mercato, nelle conversazioni con un soldato afroamericano che vuole aiutarla, negli incontri platonici con l’antico dolce corteggiatore, nelle continue umiliazioni a cui si rassegna per la sua condizione di donna. Il marito è violento anche se in qualche modo vittima come lei di un patriarcato arcaico, il datore di lavoro trova normale pagarla meno di un uomo, eppure in lei affiorano e la regista è bravissima a centellinarli, dei guizzi di consapevolezza, un essere combattuta fra la rassegnazione e la sicurezza di valere molto di più di quanto gli altri pensino.
Film generoso in cui anche la produzione ha creduto, investendo in una ricostruzione d’epoca ricca, precisa e molto convincente, dove trovano spazio anche scene con tante comparse. Tutto funziona, tutto scorre, tutto entra sottopelle e nello strazio della condizione femminile delle nostre mamme e nonne c’è sempre un momento per l’ironia e il sorriso.
E per una volta finalmente si esce dal cinema leggeri, ma non frivoli, aderendo al messaggio (ebbene sì, il film è anche didascalico) che con limpidezza la regista ha voluto trasmettere.
Andate, vi sorprenderà e non solo per il finale che in qualche modo ci si aspetta ma che ugualmente colpisce, conquistano infatti alcuni (questi sì inaspettati) guizzi poetici e originali di regia. Scommetto che il film arriverà a 10 milioni di incasso, una dimostrazione di come, quando ci sono film belli e giusti, la gente torna al cinema.
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