RIFLESSI DI CINEMA

La visione americana di un uomo tutto italiano: Enzo Ferrari

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Un film che piacerà agli uomini, innamorati delle più belle auto del mondo, ma che conquisterà anche le donne nelle quali inevitabilmente smuoverà i ricordi di un'epoca felice

Ferrari

di  Michael Mann
con  Adam Driver, Penelope Cruz, Shailene Woodley, Patrick Dempsey, Jack O’Connell

4 stelle  _____________________________________________________________

Lo avevamo già detto recensendo House of Gucci: quando gli stranieri, in particolare gli americani, raccontano storie italiane il rischio del pittoresco è in agguato. E noi, che italiani siamo, non riusciamo a riconoscerci nella rappresentazione, perché certi dettagli che risulteranno insignificanti o perfetti per il pubblico d’oltreoceano, a noi risultano falsati.

Ad esempio, prendiamo la madre di Enzo Ferrari. L’industriale e campione automobilistico è interpretato da Adam Driver che è alto un metro e novanta, la madre che vive con lui e la moglie sarà a malapena un  metro e cinquanta, ma passiamoci sopra. Quello che stride è farne una figura di mater dolente siciliana, di nero vestita, durissima e con crocchia. Si trattava di una donna emiliana completamente diversa dallo stereotipo scelto dal film. Allo stesso modo, se si vede la versione in originale (che è sempre meglio) si ritroverà una gran marmellata linguistica. Perché Driver ovviamente parla un perfetto americano, Penelope Cruz (la moglie Laura) un inglese con accento spagnolo, la quasi totalità del cast un inglese con accento italiano e qua e là spuntano frasi in italiano.

Superato questo fastidio (si può fare senza drammi) il film riesce a coinvolgere e convince nella figura di questo tipico maschio del Novecento, il borghese con un sogno e una visione a cui dedica tutta la vita. Maschio italiano in tutto e per tutto, anche nell’avere due famiglie, la moglie Laura, che è anche socia e complice aziendale, e l’amante Lina, madre di Piero, attuale vicepresidente della Ferrari che, per volontà della moglie, avrà il cognome del padre solo dopo la morte di Laura. Queste erano le storie della nostra Italia pre-divorzio e se ne contavano a centinaia. Eppure il ruolo delle due donne non è per niente scontato, perché il rapporto con un tenore coniugale pacato e tranquillo è quello con l’amante, mentre la relazione con la moglie è sfaccettata, sorprendente e anche passionale, pure se ferita dalla tragica morte a soli 24 anni dell’unico figlio, Dino, affetto da distrofia muscolare.

Penelope Cruz nel ruolo della moglie è bravissima, mutevole, vera e sempre credibile nel suo esprimere la forza di certe donne emiliane, capaci di portare avanti le loro battaglie e di lasciare da parte le rivendicazioni. L’attrice spagnola ne ha fatto uno splendido personaggio.

Questo l’uomo nella vita privata, ma quello che occupa più spazio nel film è l’ingegnere (anche se lo diventerà solo honoris causa), il capitano d’industria, l’uomo col mito della velocità che crede nel progresso e nell’ingegno, l’ex corridore automobilistico che inizia a produrre macchine da corsa non per venderle ma per farle gareggiare. E vincere. Solo con l’ingresso di Agnelli nell’azienda la Ferrari comincerà sul serio a vendere le auto più belle del mondo ai miliardari, quelle meraviglie della tecnica e del design che come la Ferrari 250 Testa rossa hanno “un culo più bello di una statua del Canova”.

Ferrari ha i problemi di tutti gli industriali, far quadrare in conti, ma soprattutto vincere tutte le gare, cercando di ingaggiare i piloti migliori e al tempo stesso corteggiato da assi del volante ansiosi di entrare nella sua scuderia e di condividere i sogni del patron. Nel 1957, anno in cui è ambientato il film, le misure di sicurezza erano risibili e fa venire la pelle d’oca vedere in riprese asciutte, intime come prima della corsa ogni pilota lasciasse una lettera, alla moglie, all’amante o alla famiglia, consapevole del fatto che sarebbe bastato un minimo imprevisto per non fare più ritorno.

La morte corre lungo tutto il film, sia nel lutto famigliare mai superato per la perdita del figlio Dino, sia per il destino che può strappare alla vita ogni corridore. Ma fa parte del gioco, fa parte della sfida, addirittura è intrinseco all’essere uomo: la distanza fra l’incoronazione per la vittoria delle Mille Miglia e il tragico incidente si misura su un ciottolo che può tagliarti la ruota. E la tragedia c’è ed è raccontata con riprese splendide, degne dei migliori film di Michael Mann, durante le Mille Miglia, a Guidizzolo, quando l’auto guidata da Alfonso de Portago uscita di strada falciò nove spettatori, fra cui cinque bambini. Nove vittime, dieci con il pilota, per una beffa del destino, anche se in un primo momento venne accusata la fabbrica di produrre auto non sicure.

Un film che piacerà agli uomini perché oltra a farsi trascinare dalle corse, contempleranno auto fantastiche, le rosse fiammeggianti e si divertiranno a riconoscere i modelli da collezione e i prototipi costruiti apposta per il film: distruggere vere Ferrari che ormai valgono anche un miliardo sarebbe infatti stata una follia oltre  che un’inutile emorragia di denaro. Un film che piacerà anche alle donne perché in Enzo Ferrari, rappresentante del Novecento, tutte riconosceremo qualche carattere. Forse dell’uomo che abbiamo al fianco, di sicuro dei nostri padri e dei nostri nonni.

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