RIFLESSI DI CINEMA

Natale al cinema: ecco i nostri consigli

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Le recensioni di 4 film da vedere durante le feste: ce n'è per tutti i gusti, per un Natale all'isegna del buon cinema

West Side Story

un film di Steven Spielberg tratto dall’omonimo musical di Leonard Bernstein, Stephen Sondheim ed Arthur Laurents
con Ansel Elgort, Rachel Zegler, Rita Moreno, Mike Faist, Ariana DeBose, David Alvarez

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Lo voleva davvero girare questo film Steven Spielberg, perché gli appartiene: è stato uno dei cult della sua giovinezza, piaceva tantissimo a sua madre e lo dedica, pudicamente, in sordina, sui titoli di coda, al padre. To dad, una didascalia che solo i più attenti fra gli spettatori notano. C’è qualcuno che non ha visto il musical originale? Sembra impossibile, ma riassumiamo la storia. In sintesi è una riproposizione dell’amore contrastato di Giulietta e Romeo. Invece dei Montecchi e dei Capuleti a scontrarsi sono due gruppi etnici della New York anni Cinquanta. Due gang giovanili in guerra per il controllo del West Side e poco importa se tutti i proletari, e loro lo sono, verranno man mano buttati fuori per la gentrificazione della zona.

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Le bande che si fronteggiano sono i Jets, che si considerano veri americani, figli di immigrati italiani o polacchi, e dall’altra parte gli Sharks, portoricani, ispanici di fresca immigrazione. Gli innamorati sono Tony e Maria. Lui è il fondatore pentito dei Jets, da cui ha preso le distanze dopo la prigione, lei è la giovane sorella di Bernardo, sanguigno capo degli Sharks.

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Il film è generoso, magnifico nella prima parte, le musiche sono fedeli a quelle originali, i balli più ariosi della versione del 1961, come se la coreografia abbracciasse tutto lo schermo e quasi ne uscisse per riversarsi in platea. I corpi dei ballerini si muovono flessuosi come un’unica creatura e sono veri e emozionanti, tutti hanno facce proletarie e sprigionano un senso di autenticità, senza niente di artificioso.

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La più straordinaria interprete è però una coprotagonista, Ariana DeBose che è Anita, l’innamorata di Bernardo. Bellissima, impetuosa, bravissima, quando è lei a ballare e solleva a ruota la gonna mozza il fiato per l’energia che trasmette e l’identificazione con la forza del personaggio fatta di onestà, passionalità e voglia di emancipazione. A Rita Moreno (era Anita nella versione del 1961) Spielberg ha offerto il personaggio della zia di Tony ed è una suggestione in più per chi ricorda il film originale.

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Che cosa ha aggiunto Spielberg? Ha attualizzato la storia, esasperando quei conflitti che erano solo in nuce, più pallidi nella versione del 1961. Più intensi e consapevoli i conflitti razziali, più violento lo scontro fra i sessi e più malsano il maschilismo (c’è anche una scena di tentato stupro), c’è persino una ragazzina lesbica che vuole far parte della banda e viene emarginata. Un grande film che avrà sicuramente molte nomination agli Oscar. Io ho solo una piccola riserva: è troppo lungo, soprattutto nella seconda parte. Ma, come si dice, parliamo di peccati veniali e Spielberg è un vero maestro, uno dei pochi grandissimi.

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Il capo perfetto

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di  Fernando León de Aranoa
con  Javier Bardem, Almudena Amor, Maria de Nati, Tarik Rmili

Javier Bardem è uno straordinario attore che può tenersi sulle spalle un intero film. Io lo accosto a Marion Cotillard e non ridete: tutti e due riescono a essere bellissimi o bruttissimi, imponenti o esili, perfidi o melodrammatici, perché padroneggiano una gamma rara di toni recitativi e sono davvero il sogno di ogni regista.

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In questo film, che rappresenta la Spagna agli Oscar, Bardem è un imprenditore e visto che la storia è scritta davvero bene, il suo personaggio ha mille sfumature. Un capo perfetto, recita il titolo, ed è esattamente questa l’ambizione del protagonista. Purtroppo neanche l’industriale più illuminato può sottrarsi al destino e alla ragione di stato, quindi, a volte tocca essere implacabili, con una incontestabile giustificazione: il capo agisce per il bene dell’azienda, un interesse condiviso che accomuna padrone e dipendenti.

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Per il bene della maggioranza capita che qualcuno possa soffrirne. Una sorta di inevitabile legge di natura. Il film si svolge quasi tutto nell’azienda ma il ventaglio dei personaggi è ampio. Oltre al capo che ha un occhio a cui non sfugge nulla, ci sono un operaio licenziato che diventerà una spina nel fianco pesantissima, una stagista arrampicatrice e arrapata (come resisterle?) e un quadro in crisi con la moglie.

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Bardem guarda tutti, ha la parola giusta per ciascuno e un pezzo di cuore riesce a riservarlo alla sua famiglia. Come un ballerino passa da un incarico all’altro, da un lavoro in cui tocca sporcarsi le mani, col grasso e metaforicamente, a una festa elegante coi maggiorenti della società.

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E’ fantastico seguirlo, le sue espressioni sono tutte da godere perché quando un attore è grande come lui, senza un movimento, senza un’alzata di sopracciglio, ma solo col mutamento della luce degli occhi si riesce a raccontare una storia tutta intera.

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Spider man – No way home

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un film di Jon Watts
con  Tom Holland,  Zendaya, Marisa Tomei, Tobey Maguire, Andrew Garfield, Alfred Molina, Thomas Haden Church, Willem Dafoe, Jamie Foxx, Rhys Ifans, Angourie Rice, J.K. Simmons, Benedict Cumberbatch, Jon Favreau

Cosa mettere di più in un film? Impossibile aggiungere altro, così come è impossibile raccontare questo ennesimo episodio di una delle saghe più amate dal pubblico tanta è la ricchezza della storia, dei personaggi, degli effetti speciali, degli accavallamenti e dei riferimenti non solo agli episodi passati ma a tutto l’universo dei supereroi.

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Che la sovrabbondanza paghi non ci sono dubbi: 260 milioni di dollari negli Usa e in Italia, in quattro giorni e in piena pandemia più di 8 milioni di euro, il miglior incasso dell’anno. Gli spettatori seguono con fremiti e boati le peregrinazioni di questo eroe moderno, riconoscono ogni spiraglio, si esaltano quando sullo schermo appaiono i precedenti attori che hanno dato vita a Spider man (e che vengono da universi paralleli), sanno tutto come è giusto per un fan.

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Spider man è confezionato in maniera impeccabile e non ha più nessuna di quelle  incertezze presenti nelle produzioni povere e un po’ sciatte di cinquanta anni fa. Qui è tutto ai massimi livelli, non è solo un film, è un’attrazione che scaravento lo spettatore in un gioco acrobatico da parco dei divertimenti. Film e videogame, un’esperienza totale. Vogliamo parlare degli attori? Sono fra i migliori in circolazione e non sbagliano nulla, cosa pure difficile perché considerando la sovrabbondanza di effetti speciali si saranno trovati a recitare sempre contro un fondale verde, costretti a immaginare quello che poi sarebbe arrivato sullo schermo. Eppure sono magnifici.

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Di fronte a questo spolvero di meraviglie ci si domanda ma come andranno avanti? Andranno avanti, eccome se andranno avanti e sarà sempre più pirotecnico. Non alzatevi prima dell’ultimo titolo di coda e godetevi l’ultima sorpresa con spoiler sul prosieguo che già vien voglia di vederlo.

Quindi? Magnifico e grandioso film premiato dal pubblico, ma se c’è ancora qualcuno affezionato al minimalismo e alla sobrietà, be’, continuate a leggere: il vostro film è il successivo della nostra lista.

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Scompartimento n. 6

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un film di Juho Kupsmanen
con Seidi Haarla e Yuriy Borisov
ispirato all’omonimo romanzo di Rosa Liksom edito da Iperborea

Carico di riconoscimenti, fra cui il Grand Prix speciale della Giuria a Cannes e la selezione all’Oscar per la Finlandia, questo è un film molto particolare. Tutto basato sulla sottrazione, si affida interamente alla forza della relazione fra i due protagonisti. Anche loro molto speciali: una riservata studentessa finlandese e un giovane minatore russo. Sono casuali compagni di viaggio nello scompartimento numero 6 del titolo, su un treno diretto verso il circolo artico, a Murmansk, estremo nord ovest della nazione, nella Russia degli anni Novanta.

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Lei vuole assolutamente vedere dei graffiti preistorici unici, lui ha scelto un lavoro durissimo in condizioni disagevoli per guadagnare un po’ di soldi. Il viaggio è lungo, ingrato, il tempo è pessimo, niente conforta i passeggeri e sembra anche a noi spettatori di sentire il freddo  polare che entra da ogni spiffero sul treno e quasi ci infastidiscono gli odori dell’umanità affaticata che popola in vagone e che di certo non ha molte possibilità per tenersi in ordine durante un viaggio così estremo.

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Il ragazzo e la ragazza lentamente costruiscono un rapporto particolare, punteggiato di diffidenze e improvvise aperture, con una solidarietà altalenante, un’attrazione a scatti a cui basta un nulla per trasformarsi in repulsione. Claustrofobico, girato davvero su un treno, fra spazi angusti che ne hanno condizionato lo stile, è un film giustamente segnalato dalla critica . Un’opera interessante immersa in un paesaggio no limits, una storia di poesia e durezza, molto vera, bella. Faticoso e affascinante come una camminata fra i ghiacci artici.

 

 

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