RIFLESSI DI CINEMA

Nicolas Cage protagonista di un sogno… o di un incubo?

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E' questa la domanda che ci poniamo di fronte all'ultima performance dell'attore americano che qui indossa i panni di un docente universitario, quasi irriconoscibile

Dream Scenario

regia di  Kristoffer Borgli
con Nicolas Cage

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Ci sono momenti in cui la realtà deraglia per andare incontro a situazioni in bilico fra il grottesco e la pura follia, sempre supportate da una buona dose di paranoia. Ci sono momenti in cui il déjà vu prende il sopravvento e temiamo di perdere il controllo della nostra vita. Non è fantascienza, non c’è nulla di sovrannaturale o esoterico, perché quella sensazione di profondo malessere nasce dentro di noi. Come definirla? Il peso dell’esistere, la paura di non essere all’altezza, un insostenibile senso di inadeguatezza, l’angoscia priva di nome, il disagio della civiltà. Ci sono registi che hanno interpretato questo sentimento nebbioso e disturbante facendone il loro marchio di fabbrica. Come Spike Jonze e penso al suo Essere John Malkovich, come Michel Gondry con Se mi lasci ti cancello, come Ari Aster regista di Beau ha paura, non a caso produttore di Dream scenario.

Tutte storie difficilmente classificabili, eredi ultimi di Truman show. Insomma, questo mondo ci ferisce, non lo capiamo, ma dobbiamo starci dentro perché è l’unico a nostra disposizione, ma a volte l’assurdo ci travolge. Ed è quello che succede a Paul Matthews (Nicolas Cage in un ruolo confezionato per l’Oscar) anonimo, inoffensivo, impacciato professore universitario che conduce una vita invisibile con una moglie che nonostante tutto lo ama, e due figlie adolescenti. Giornate che si susseguono pigre senza sorprese, un libro nel cassetto, sogno che non si realizza, colleghi che non lo invitano alle cene perché non è abbastanza brillante e studenti che tutto sommato gli sono affezionati.

L’inerzia esistenziale subisce uno scossone quando all’improvviso tutti, chi lo conosce ma anche migliaia di sconosciuti, cominciano a sognarlo. Paul compare, presenza passiva, nelle loro notti. Appare, guarda e non fa nulla, non parla, non interviene, non agisce. Passa, angelo sterminatore senza spada, presenza misteriosa e incongrua. A poco a poco il goffo professore diventa famoso e non sa come gestire l’improvvisa popolarità. Il mondo finalmente si è accorto di lui. Peccato che, sempre in maniera inspiegabile, la sua presenza nei sogni cambi di botto: il mite Paul si trasforma nell’essere più aggressivo, violento e torbido, il peggiore degli incubi.

Film inusuale, come lo sono tutti quelli di Ari Aster, come era Sick of my self, il precedente lavoro del regista norvegese Kristoffer Borgli. Ma qual è il problema di questo cinema oltre il reale? Quello di dover sviluppare l’ottima, choccante idea di partenza. Lo guardi, ammiri una serie di geniali intuizioni visive (la prima scena è fantastica) e dopo un po’ cominci a chiederti in che modo il regista riuscirà a tirare le fila di una storia così paradossale senza mettersi nei guai.

In questo caso il film sbanda nella seconda parte e non trova la giusta misura, anche se inanella una serie di scene curiose, ottimi ingredienti che però meritavano di essere cucinati meglio. In attesa dei prossimi lavori, sia del produttore che del regista, perché vale la pena tenerli d’occhio.

 

 

 

 

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