
Per la seconda volta mi molli all’altare? E io ti riempio di botte
Ecco un fatto di cronaca che si può leggere in vari modi: la rivincita di una donna di fronte a un torto che ha subito dal suo uomo o, più in generale, un’esempio per tutto il genere femminile perché si abitui comunque a reagire… virilmente (basta piagnistei!) ai comportamenti maschili non corretti, anche se non necessariamente violenti, o, infine, semplicemente un episodio più unico che raro capace di suscitare perfino un sorriso per il suo finale degno di una vecchia commedia all’italiana, con Sordi e la Vitti.
E’ successo a Reggio Emilia, dove una donna non più giovanissima si è trovata per la seconda volta a un passo dalle nozze, fissate per il 24 febbraio. Alla firma delle pratiche in municipio però, il promesso sposo non si è presentato, reiterando il comportamento di quattro anni fa, quando con data, chiesa e ristorante fissati, lui si era rimangiato la promessa di portarla all’altare. Se quella volta, dopo un periodo di giustificata disperazione, lei lo aveva perdonato, stavolta ha deciso di dargli una lezione: si è vestita di nero come le attrici alla serata dei Golden Globe, lo ha aspettato in un centro commerciale e lo ha riempito di botte davanti a tutti. Pare che, se non fossero intervenuti degli avventori dell’esercizio per strapparglielo dalle mani, l’uomo sarebbe finito male.
Una donna che usa violenza a un maschio, in questi tempi di denunce di molestie, fa un po’ l’effetto del famoso uomo che morde un cane.
Tuttavia, senza perdere di vista la gravità dei casi che un po’ in tutti gli ambienti stanno portando alla luce l’odiosa violenza (fisica e psicologica) di genere, non bisogna ignorare che, sia pure in misura molto più ridotta, questa violenza può procedere anche in senso opposto.
Un’indagine condotta dai ricercatori dell’Università di Siena ha infatti rivelato che nel 2011 in Italia si sono verificati oltre 5 milioni di casi di violenza del partner di una coppia sull’altro, soprattutto con queste modalità: minacce (63,1%), graffi, morsi e capelli strappati (60,05), lancio di oggetti (51,02) e percosse con calci e pugni (58,1%). Leggendo questi dati, verrebbe subito da pensare, tenendo conto anche dei sempre frequenti casi di cronaca, che la prevaricazione domestica dell’uomo sulla donna è purtroppo una piaga sociale. E invece non è così, almeno in questo caso. Perché queste percentuali si riferiscono a casi di violenza femminile su un partner di sesso maschile ed è stata effettuata su un campione di uomini tra i 18 e i 70 anni. Non che la sorpresa debba mitigare la battaglia a sostegno delle donne maltrattate dai loro compagni, ma di certo mette in evidenza che il drammatico tema si può affrontare anche nella direzione di marcia opposta.
Come scrive nel suo libro Cinquanta sfumature di violenza (edito da Cairo Ed.) attraverso una raccolta di dati, racconti di cronaca, riflessioni psico-sociologiche e analisi storiche e politiche, la scrittrice e autrice televisiva Barbara Benedettelli, classe 1968. Che forse va un po’ controcorrente, ma che svela alcune interessanti verità nascoste o sottaciute.
Già perché, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, anche gli uomini maltrattati dalle loro donne tendono a non denunciare le violenze subite, un po’ perché pensano di amarle e temono di perderle, ma più probabilmente perché vittime essi stessi dello stereotipo secondo il quale il quale il maschio che subisce da una femmina dimostra una fragilità non consona all’immagine di virilità e forza che una cultura e una società tradizionalmente maschiliste gli attribuiscono.
Certo, resta valido il discorso che, a causa della minor forza fisica, della dipendenza economica e spesso emotiva, le donne sono colpite più spesso, e, come vedremo, più spesso in modo mortale. Ma il saggio della Benedettelli chiede che l’interesse verso la violenza fisica e psicologica che colpisce le relazioni affettive non vada in una sola direzione perché anche le donne possono maltrattare, accoltellare, sfregiare e uccidere i loro uomini. Anche se va annotato che i casi di “maschicidio” sono meno frequenti (in assoluto e in proporzione ai casi di violenza denunciati) di quelli di femminicidio, che forse proprio per questo triste primato si è meritata una maggiore attenzione anche da parte dei media. Ma non si può non notare, leggendo i risultati della già citata indagine dell’Università di Siena, quanto anche le donne sappiano essere crudeli e perfino sadicamente fantasiose con i loro partner: sotto la voce «altre forme di violenza», dopo quelle già ricordate, compaiono infatti, in una sorta di catalogo dell’horror domestico, tentativi di folgorazione con la corrente elettrica, investimenti con l’auto, mani schiacciate nelle porte, spinte dalle scale.
Inoltre, proprio come gli uomini, ci sono alcune donne che usano forme di violenza psicologica ed economica, pur se con dinamiche diverse: critiche a causa di un impiego poco remunerato (50.8%); denigrazioni a causa della vita modesta consentita alla partner (50,2%); paragoni irridenti con persone che hanno guadagni migliori (38,2%); rifiuto di partecipare economicamente alla gestione familiare (48,2%); critiche per difetti fisici (29,3%). Gli insulti e l’umiliazione raggiungono una quota di intervistati del 75,4%, seguiti dal danneggiamento di beni (47,1%), dalla minaccia di suicidio o di autolesionismo (32,4%), specialmente durante la cessazione della convivenza e in presenza di figli, spesso utilizzati in modo strumentale. E, a proposito di minacce, le più frequenti e ricattatorie risultano quelle di chiedere la separazione,di togliere casa e risorse, di ridurre in rovina, di portare via i figli, o di ostacolare i contatti con loro o di impedirli definitivamente.
Insomma, un vero elenco di angherie psicologiche, che si credevano tipiche solo di uomini crudeli. Ma, come scrive Barbara Benedettelli, “oggi ci sono donne a capo di governi, tra gli amministratori delegati, i militari, i leader politici, i camionisti, gli astronauti, gli ingegneri. Però non riusciamo a vederle nelle vesti di carnefici, di persone in grado di maltrattare, di demolire fisicamente o psicologicamente, anche loro, gli uomini che dicono di amare”.
E l’autrice di Cinquanta sfumature di violenza introduce anche l’argomento della “giustificazione” collettiva quando nei rapporti affettivi i maltrattati sono gli uomini: “Questa violenza è in qualche forma legittimata e non suscita indignazione perché, si sa, la donna anche quando fa male è comunque più vittima dell’uomo”.
Forse è proprio così. Resta il fatto che senza la disponibilità della società ad ascoltare le donne, ma anche gli uomini vittime di violenza, e senza la loro capacità di trovare il coraggio di denunciarla, sarà sempre difficile affrontare e risolvere un problema così grave e articolato come quello della violenza domestica. Che non è solo di genere. Perché prima di uomini e donne ogni individuo è una persona. Come ha voluto significare la sposa mancata di Reggio Emilia.
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