
Quando la medicina è la cura di noi stessi
Nei momenti di difficoltà esistenziale o di malessere la filosofia può davvero esserci d’aiuto?
(Giorgia – Napoli)
Oggi tutti noi siamo bombardati in continuazione da messaggi che ci consigliano come alimentarci in maniera sana, quanta attività fisica svolgere, a quali farmaci o rimedi ricorrere in caso di malanno, quali libri o manuali di comportamento consultare. Il tutto finalizzato alla miglior cura di noi stessi. Però, nei momenti di vera difficoltà esistenziale o di malessere, prima di affidarci a consigli altrui, dobbiamo guardarci dentro e rivolgerci una domanda fondamentale: io voglio davvero prendermi cura di me stesso? Avere cura significa prendersi a cuore, preoccuparsi, avere premura, dedicarsi a qualcosa. Ma questo vale anche quando si tratta della cura di se stessi?
La filosofa Luigina Mortari spiega: “L’esserci assume la propria esistenza avendone cura. Questo rapportarsi all’esistere avendone cura è un esistenziale che ha il tratto della necessità, perché da subito e per tutto il tempo della vita l’essere umano, in quanto esistente, si trova a doversi occupare di sé, degli altri e delle cose”. Sembra facile, ma la consapevolezza che aver cura di se stessi è, per la nostra natura di esseri umani, di fatto inevitabile non è sempre immediata.
L’atto del “prendersi cura” viene per lo più appreso e sperimentato attraverso coloro, a cominciare dalla figura materna, che si sono presi cura di noi all’inizio della nostra esistenza. E questa condizione rappresenta la base dalla quale noi in seguito partiremo quando dovremo prenderci cura degli altri, replicando le modalità che abbiamo appreso fin da neonati. Ma, per quanto sia naturale e insita in ogni essere umano, la cura di se stessi presuppone una decisione, che noi riusciamo a prendere solo se ci vogliamo bene. Quando accade ciò? Soprattutto, quando nelle nostre prime esperienze di vita abbiamo avuto qualcuno che ci ha voluto bene. Ci sono, però, individui molto disposti a occuparsi degli altri, ma meno capaci di farlo quando si tratta di applicare i medesimi principi a se stessi. Queste persone dovrebbero continuamente ricordarsi che nessuno è in grado di occuparsi con buoni risultati degli altri se non è in armonia con se stesso e che quindi il suo primo dovere, se vuole risultare utile, è prendersi cura di se stesso.
Ma come comportarsi di fronte a un malessere esistenziale? Il primo passo da compiere è dare un senso alla nostra sofferenza. La filosofia insegna che non è il dolore in sé a farci stare male, ma la mancanza di senso di quel dolore, ed è proprio questa la ragione che da sempre spinge l’uomo, attraverso la religione, a cercare quel senso fuori da sé. In secondo luogo, possiamo e dobbiamo imparare ad accettare quelle parti di noi che sono all’origine del nostro malessere e che sono dentro di noi, anche se tendiamo a rimuoverle o addirittura a viverle come “altro da noi”. Rifiutarle non attenua la nostra sofferenza, ma al contrario la fa aumentare, perché comunque non riusciremo mai a fare scomparire completamente questa “zona d’ombra” del nostro essere. Meglio, quindi, considerarla come una parte bisognosa di aiuto e di conforto e provare a “risignificarla”, cioè a darle un altro significato, passando dalla valenza negativa che le abbiamo sempre attribuito a una nuova valenza, positiva. Ricordandoci di quanto ci ha insegnato Jung: “La figura dell’Ombra personifica tutto ciò che il soggetto non riconosce e che purtuttavia, in maniera diretta o indiretta, instancabilmente lo perseguita: per esempio, tratti del carattere poco apprezzabili o altre tendenze incompatibili”.
L’essere umano è complesso e deve sforzarsi di conciliare tutti i vari aspetti che convivono in lui. Per esempio, nella nostra ottica sempre “performante” viviamo con grande disagio i periodi in cui ci sembra di non avere più l’energia per affrontare con positività tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana, come se una parte di noi ci remasse contro. Invece di subire passivamente questa forza negativa e di deprimerci, dobbiamo guardarla in faccia, renderci conto che questo malessere è parte di noi e, quindi, anziché respingerlo, fermarci ad ascoltarlo: potrebbe anche darci dei suggerimenti positivi, come un invito a rallentare il ritmo della nostra vita e a rispettare i nostri limiti.
Ecco, per cominciare a volerci bene, impariamo ad accettare tutti i vari modi di essere che abbiamo dentro di noi. È da qui che può partire un vero lavoro di cura di noi stessi, consapevole, permanente, e non limitato ai momenti negativi della nostra vita.
Marika Mitta Lindo
21 Aprile 2017 at 6:13 pm
Bellissimo articolo.”Risignificare” e’ un concetto che mi colpisce.
Daniela Pavani
21 Aprile 2017 at 7:11 pm
Veramente ottimo spunto di riflessione e di lavoro interiore. Trovo tra le righe una sorta di aumentata maturità emotiva/astrale e logica. in sintesi si coglie (oltre al messaggio ovviamente) un nonsoche di “risolto”.
Fabio Giulio Pirrotta
22 Aprile 2017 at 4:28 pm
Bellissimo articolo, Grazie..
Nino
22 Aprile 2017 at 7:18 pm
Articolo molto ..buddista.. ” .. nessuno è in grado di occuparsi con buoni risultati degli altri se non è in armonia con se stesso e che quindi il suo primo dovere, se vuole risultare utile, è prendersi cura di se stesso.” da solo è un concetto capace di rivoltare il mondo come un calzino. Se a questo ci aggiungiamo “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” e “da ognuno secondo le proprie capacità a ognuno secondo le proprie necessità” avremmo raggiunto la meta. Per ora non siamo nemmeno a metà