SANREMO 2024: impressioni di metà percorso
Arrivati a metà percorso anche di questo quinto Sanremo del Regno di Amadeus, mi ritrovo a fare considerazioni che hanno ahimè del dèja-vu, prima fra tutte come possa uno spettacolo imbastito in questo modo raggiungere addirittura il 75% di share. E’ vero che la concorrenza si autoannulla proponendo repliche e programmi riempitivi, ma le serate di lunghezza ormai più che biblica del “Sanremo che si Ama” raggiungono punte di imbarazzo mai viste e situazioni in cui si è rischiato di oltrepassare (o si è oltrepassata) la sottile linea di demarcazione tra l’emozione “forte” e la lacrima facile da salotto pomeridiano. Ma andiamo per gradi…
LE CANZONI
Ad Amadeus bisogna dare il merito di aver tolto lo strato di polvere e di noia che copriva le canzoni festivaliere ormai da anni. Alla disperata ricerca della “canzone di qualità” si ammassavano brani caratterizzati solo da una noia mortale, che messi in sequenza più che una botta di cultura, ti davano una botta di sonno. Addio quindi alle Orchestre Avion Travel e avanti le Annalise. Quest’anno in particolare forse si è un po’ esagerato, al punto che il mood generale è più da Festivalbar che da Festival di Sanremo, ma l’ascolto in generale è piacevole, quindi tutto sommato va bene così. Dargen D’Amico, tra l’altro, ha dimostrato di poter trasmettere un messaggio sociale anche con un pezzo apparentemente leggero e radio friendly.
GLI OUTFIT
Finalmente sembra finito il periodo in cui alcuni artisti si presentavano sul palco dell’Ariston vestiti come per scendere nel negozio sotto casa a prendere il latte che hai appena finito. Tra eleganza e stravaganza, la tendenza è ormai quella di una buona attenzione al look. Certo, in alcune situazioni, le scelte sono discutibili, ma innegabilmente ricercate: si va dall’abito da sposa della Mannoia, al fiocco gigante dei Ricchi e Poveri, passando per la guepiere di Annalisa.
I CO-CONDUTTORI
Per ora i due co-conduttori cantanti vanno oltre le aspettative. Marco Mengoni, elegantissimo con la maglia di rete glitterata e con il coordinato rosso (meno con la gonna leather e il calzino), inizia un po’ impacciato nei dialoghi, ma poi si lascia andare. Immenso nel medley delle sue hit, molto emozionato nel riproporre “Due vite”, poco a suo agio nel siparietto con la scopa, ma è più colpa degli autori che sua. Giorgia ha una marcia in più, nei dialoghi è veloce e disinvolta, gioca col dialetto romano e se la cava benissimo anche nel segmento del baule con le musicassette. E poi canta… tutti gli altri possono anche andare a casa. Su Fiorello mi riservo di aprire un capitolo in chiusura della kermesse… per il momento preferisco non pronunciarmi.
GLI OSPITI
A parte l’eccezione Allevi, che crea un momento di grandissima emozione, sono la nota dolente di queste serate, quasi tutti inutili e causa di noiosi segmenti inesorabilmente troppo lunghi. Per esempio parliamo del ritorno di Zlatan Ibrahimović, che replica esattamente gli stessi sketch del 2021: ne avevamo davvero bisogno? Leo Gassman, improbabile Franco Califano nella fiction di raiuno dedicata al Califfo, si dimentica di uscire dal personaggio e fa un “Tutto il resto e noia” che sembra strappata a “Tale e quale show”: rinunciabilissima. Un quarto d’ora di ospitata del cast di “Mare fuori” per parlare della violenza di genere, tema importantissimo, ma si sconfina inesorabilmente nella fiera della retorica. Bello anche dare spazio all’ingiusta morte di Giò Giò e ricordarlo in questa sede, ma la mamma che per cinque minuti legge una lettera strappalacrime al centro del palco forse usciva un po’ dal contesto. Ci sono altri spazi più adatti.
Vado a capo per aprire il capitolo John Travolta, che credo rimarrà nella storia come uno dei momenti più imbarazzanti di questo Sanremo, ma anche dell’intera Storia del festival. Fare arrivare un attore hollywoodiano all’Ariston, non fargli nemmeno una parvenza di intervista e costringerlo solo a scimmiottare i passi di Saturday Night Fever o Grease, già sarebbe stato sufficientemente imbarazzante. Ma siamo andati oltre, invitando Travolta a imitare la sua camminata alla Tony Manero per raggiungere “Ciuri” fuori dal Teatro dove gli si chiedeva di mettere in testa un cappello da Papero e ballare “Il ballo del qua qua”. Lo sguardo di John Travolta è sufficientemente eloquente, non ci sono parole. Forse qualcuno dovrebbe dire a Fiorello che non è in un villaggio vacanze di Viserbella e non ha a che fare con impiegati tedeschi in vacanza.
Per ora ci fermiamo qui e attendiamo con curiosità e anche un po’ di paura la serata delle cover e la finale!
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