
L’ALIANTE un racconto di Gianluca Santoni
Da giorni il mio elusivo amico non mi recapitava messaggi. Devo dire che questa notte ha trovato un singolare modo: mentre sonnacchioso aspetto l’arrivo del vero dormire, un ticchettio sul vetro della finestra, attira la mia attenzione. Con fatica, e alla fine della lotta tra curiosità e pigrizia, mi alzo e apro uno spiraglio tra le due ante. Un piccolo aeroplano di carta entra dal varco e planando dolcemente si posa sul pavimento. Sollevo quel damascato aereo, e mi accorgo che quelli che avevo scambiato per fregi, erano in realtà parole e che quel cartaceo velivolo altro non era che una pagina di un libro piegata ad arte. Dopo averlo posato sulla scrivania, e delicatamente steso tutte le sue pieghe con il taglio della mano, curioso comincio a leggere.
“Il pilota aveva delle capacità straordinarie, il suo aliante restava in volo per ore e ore, solo il calar del sole lo spingeva verso il suolo. Fiutava le correnti e le scorreva danzando da una all’altra. Vivere era stare nel silenzio del cielo, nelle carezze del vento, nell’abbraccio delle nuvole. Il suo magico aliante non solo il suo corpo portava in volo. La sua mente diventava lieve sorretta da quei fatati venti e vinceva la gravità dei pensieri cupi. Non un senso del suo corpo resisteva a questa magica danza. Da lassù la sua vista gli rendeva scenari dai colori pastello, i paesaggi scivolavano sotto i suoi occhi senza difetti, senza ferite, le città erano modelli di un mondo in miniatura, la mano greve dell’uomo da lassù gli era sconosciuta. Il suono del vento arrivava ai suoi orecchi come un ipnotico ballo e si ritrovava danzante tra le nuvole. Solo il disco giallo del sole che si riduceva lo esponeva all’attrazione magnetica del suolo. E ogni volta, dopo ogni atterraggio, rimaneva qualche minuto, chino in avanti, in attesa, che anche i suoi sensi, che si attardavano in cielo, rientrassero pigramente. No il suolo non era fatto per lui, non aveva vie di mezzo. Quando non poteva volare, immaginava rifugi profondi, dove a differenza del suo cielo nulla penetrava, niente poteva raggiungerlo e i suoi sensi tacevano. No la consuetudine non era prevista non era un traguardo, non amava percorsi rettilinei. Una sola cosa di questa nostra vita di superficie gli interessava: la pista su cui il suo aliante poteva innalzarsi e condurlo di nuovo verso la sua ipnotica danza.”
Subito ho avuto chiaro quello che avrei dovuto fare di quel messaggio. Ho ricomposto prudentemente ogni piega di quella preziosa pagina e avvicinandomi alla finestra scortato dall’emozione, mi ha conquistato la percezione che quel semplice foglio non avrebbe trasportato solo parole. Ho proteso il braccio nel buio della notte e quando ha lasciato la mia mano fuggendo verso il cielo, gli ho augurato un volo infinito.
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