RIFLESSI DI CINEMA

Donato Carrisi: il maestro del Thriller torna al cinema per farci paura

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Un film che va scoperto e assaporato guardandolo e che lo scrittore/regista avvolge nel mistero, a cominciare da quello del non svelare i nomi degli attori

Io sono l’abisso

un film di Donato Carrisi
Tratto dall’omonimo romanzo di Donato Carrisi, edito da Longanesi

 

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Il lago è infido, il suo fondo melmoso e torbido può nascondere mostri. Quando un corpo cade nelle sue acque si frantuma contro le rocce e i pezzi ripescati sono ridotti a brandelli lividi mangiati dai pesci. Il lago è misterioso e minaccioso ed è un ottimo scenario per ambientare la storia immaginata da Donato Carrisi, personaggio unico nel panorama italiano, autore di thriller di enorme successo, sceneggiatore di varie serie televisive e regista dei film tratti dai suoi libri. Per quest’ultimo ha chiesto ai critici di non svelare i nomi degli attori. Come mai una richiesta così stravagante? Perché le sue storie sono senza luogo e senza tempo, aspira a apologhi universali con protagonisti che possano diventare archetipi di comportamenti. E devianze.

Nel film facciamo la conoscenza con l’uomo delle pulizie, la madre, la ragazza dai capelli viola. Capiamo subito che il solitario netturbino che svuota i cestini del lungolago ha qualcosa che non va. Le prime inquadrature suscitano una paura vera. L’uomo ha lo sguardo fisso, un volto che ricorda quello di Jeffrey Dahmer il cannibale di Milwaukee della serie Netflix. E’ maniacale, disturbato, è ostaggio delle “voci” che gli martellano nella testa e lo costringono a compiere azioni che forse non vorrebbe. La sua casa assomiglia a una caverna, raccoglie e cataloga la spazzatura delle vittime designate per catturarle più facilmente, le sue prede sono le donne bionde, anziane e sole. Persone indifese di cui nessuno si preoccupa anche quando finiscono male.

Il passato lo perseguita, una madre snaturata aveva cercato di liberarsi di lui facendolo annegare nella piscina di un hotel abbandonato, i patrigni che duravano poco lo maltrattavano e le famiglie affidatarie a cui si sono rivolti i servizi sociali non hanno mai avuto ragione della introversione di quella creatura sventurata. Ma a un certo punto succede qualcosa che sfugge al suo controllo e inceppa il meccanismo a orologeria della sua vita: mentre svuota con gesti monotoni i cestini del lungolago vede una ragazzina che sta annegando, si butta d’istinto in acqua e la salva. Fuggendo però subito dopo e diventando il coraggioso eroe senza nome. Da qui prendono il via una sequela di coincidenze fatali che legano la ragazzina dai capelli viola al suo ignoto salvatore. Con una presenza determinante, quella della Madre, una donna impazzita dopo la tragedia che ha colpito la sua famiglia, una donna a cui il dolore ha affinato l’intuito.

Già ho detto troppo della trama, perché questo è un film che va scoperto e assaporato guardandolo, un film da cui farsi trascinare, dimenticando appunto il nome degli attori e credendo alla forza arcaica del personaggi, a volte simbolo del male, dell’abisso che spesso non vediamo e che forse in parte abita anche noi e a volte invece simbolo di riscatto, redenzione, salvezza.
Le immagini sono potenti, cupe, l’acqua è il filo conduttore della storia, che sia quella del lago che inghiotte e uccide o quella purificatrice della pioggia. Le inquadrature strette, claustrofobiche prendono per mano lo spettatore e lo trascinarlo nel gorgo dell’ignoto. Nel mondo malato non brilla mai il sole, il lago è livido come il cielo, le case sono buie, spesso illuminate da candele, senza luce elettrica. Su tutto domina l’ossessione, quella del killer e quella di chi in una missione da predestinato non smette di lottare contro il male.

Se amate il thriller, se vi affascinano i noir psicologici, non perdetelo: Donato Carrisi padroneggia alla perfezione tutte le regole del genere e sa farci paura, tenendosi però lontano da ogni effetto truculento, in una purezza di racconto che va a cercare le ragioni del male e non liquida la crudeltà del killer ma la seziona in tutta la sua prismatica complessità.

 

 

 

 

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