RIFLESSI DI CINEMA

“Un altro giro”… ma senza esagerare

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Vincitore del premio Oscar come miglior film straniero, "Un altro giro" è un racconto esistenziale che a tratti prende la forma di un apologo e che trova il suo punto di forza sulle prove degli attori

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Un film di THOMAS VINTERBERG
con Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Magnus Millang, Lars Ranthe, Maria Bonnevie

Dal 20 maggio al cinema_______________________________________________

Allora, lo dico subito e mi tolgo il pensiero: l’Oscar come miglior film straniero … be’, secondo me è eccessivo. Questo senza nulla togliere a un film eccentrico che ha la capacità di mettere a disagio lo spettatore con una storia imbevuta (mai verbo fu più azzeccato) di nord, figlia dell’angoscia alla Kierkegaard e di paesi dove il sole si vede poco, dove si beve troppo e mai con gioia, dove c’è uno stato sociale forte eppure ci si suicida con percentuali da brivido.

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Lo spunto molto curioso nasce dalla teoria del norvegese Finn Skårderud  secondo il quale al nostro sangue mancherebbe una percentuale di alcol che, aggiunta con dosi quotidiane, mantenendo costante il livello, ci farebbe vivere meglio, rilassandoci, rendendoci più socievoli e simpatici e gioverebbe anche alla creatività.

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Proprio aderendo a questa bizzarra teoria un gruppo di amici di mezza età, insegnanti di liceo ormai poco motivati, stravolgono le loro vite, diventando protagonisti di un vero e proprio esperimento in laboratorio. Le ragioni di insoddisfazione certo non mancano perché gli studenti li guardano annoiati, le mogli li tollerano, i figli non li stimano e loro tutti stanno affogando in una crisi di mezza età, quando ti rendi conto che ormai il tempo per realizzare i sogni dell’adolescenza è scaduto.

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Così questi ragazzoni cresciuti iniziano a bere e da subito i risultati si vedono, perché sono più brillanti con gli studenti, meno noiosi con tutti, la depressione si attenua e l’autostima torna potente. Come in tutti i giochi d’azzardo però è in agguato un rischio: quello di non sapersi fermare. Cosa che puntualmente accade con conseguenze nefaste.

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Racconto esistenziale che a tratti prende la forma di un apologo, il film ha il suo punto di forza sulle prove degli attori, tutti in stato di grazia, ma Mads Mikkelsen è davvero grandioso nel ritratto di un uomo vinto che si illude di trovare ancora qualche scintilla di vitalità, costi quel che costi. La sua recitazione è minuta, chirurgica e sarebbe piaciuto a Ingmar Bergman. Nella scena finale, liberatoria, irreale, catartica, forse solo un sogno, lanciando il suo corpo in una danza quasi sciamanica, lontana mille miglia dal personaggio iniziale, arriva al cuore di tutti gli spettatori.

 

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