Questa “Wonder Woman” sa come conquistarci
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WONDER WOMAN
di Patty Jenkins
con Gal Gadot, Chris Pine, Robin Wright, David Thewlis, Danny Huston, Connie Nielsen
Nelle sale dal 1 giugno
Durata: 141 minuti
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Armatevi di pazienza, perché il film dura quasi due ore e mezza e non si risparmia su niente. Sono andata a vederlo con un po’ di preoccupazione, su vari piani. A parte la durata – in genere non considero la lunghezza un ostacolo perché a me favorisce una visione ipnotica, fantasiosa e rilassante – mi chiedevo da che parte sarebbe stata affrontata l’icona Wonder woman, così ricca di ricordi televisivi e fumettistici, per promuoverla a protagonista assoluta di una saga cinematografica. Della prima puntata di una saga, per la precisione, perché a giudicare da quanto è stato messo sul tappeto, c’è materiale per una decina di sequel…
Da dove cominciare se lo sono chiesti anche gli sceneggiatori e la regista (ottima: a lei si deve Monster che fece conquistare a Charlize Theron nel 2004 l’Oscar) e si sono dati una risposta semplice nella sua grandiosità: dall’inizio, andando a pescare a piene mani da tutto l’immaginario mitologico, hollywoodiano, storico e fumettistico di cui disponevano. Che scarso non era.
Capita che la sovrabbondanza diventi una virtù, se l’intento, nobile e dichiarato, si chiama spettacolo, gioco, intrattenimento. Ecco Wonder Woman è un esempio, fulgido, mi sento di aggiungere, di divertimento pulito, forse ingenuo, ma di sicuro intelligente e per di più traboccante di buone intenzioni, che non sempre finiscono a lastricare le strade dell’inferno.
Chiariamo subito, però. Se vi appassionate solo ai film minimalistici, se in cima ai vostri eroi ci sono registi di nicchia e piani sequenza che farebbero impallidire Angelopoulos, inutile ingannarvi: questo non è il vostro film. Se invece avete voglia di divertirvi e di giocare, non perdetelo.
Il tutto che farcisce il film non diventa mai troppo, perché la regista è riuscita a mettere un freno ai momenti più sovraccarichi e si è lasciata prendere la mano solo nella grande battaglia finale dove Wonder Woman si batte contro il Male, ma lo spettatore aspettava la resa dei conti e la catarsi da due ore ed era impossibile liquidarla in cinque minuti.
Ora facciamo anche noi come la regista e cominciamo dall’inizio.
Wonder woman lo dice il nome stesso che cos’è: la massima espressione del supereroe al femminile, della donna che basta a se stessa e non a caso di nome fa Diana, come la dea cacciatrice. Del sesso a cui appartiene Diana ha tutte le qualità migliori: la generosità, il coraggio, l’altruismo, la voglia di pace e uguaglianza, un istinto protettivo e materno nei confronti del mondo intero. E come tutte le donne guarda agli uomini con quel misto di sentimenti in cui l’indulgenza, il desiderio, la diffidenza, la tenerezza e la rampogna si mescolano in parti democraticamente uguali.
Da questa mitologia giocosa del femminile, un po’ facilona come si addice a Hollywood, fatta di miti greci, romani e fantasy, prende le mosse il film con Amazzoni e donne guerriere regine di un’isola che assomiglia sia alla Grecia di Troy che alla giungla di Jurassic Park. La più coccolata è la piccola Diana, una bambina molto determinata che non aspetta il momento in cui potrà anche lei esercitarsi nei combattimenti. Ma non si insegnano solo i combattimenti, perché nell’Eden delle Amazzoni in cui si forma la futura eroina si imparano molte cose: Diana, lo scopriremo nel corso del film, conosce ben 200 lingue e sa tutto del sesso, perché ha letto il testo base sulla riproduzione e sul piacere femminile (autrice: Clio, giusto per la cronaca). La sua sapienza le servirà quando, in uno scarto temporale, in un declic da macchina del tempo e universi paralleli assiste alla caduta di un aereo in mare. Potrebbe ignorare quello che vede e invece tuffandosi per salvare il pilota sarà costretta a entrare nell’altro mondo, e sarà proprio il pilota a diventare il suo demiurgo aiutandola a compiere la sua missione di pace sulla Terra.
Da un momento all’altro siamo scaraventati in una magnifica Londra in piena Grande Guerra dove le spie più in gamba (come il pilota che Diana ha salvato) devono sconfiggere l’imperialismo tedesco già in odore di nazismo (lo abbiamo già detto che storicamente non tutto è perfetto? ) e il film da fantasy-peplum diventa una pellicola di azione e spionaggio.
Eppure questo andar di palo in frasca riesce a non disturbare perché Gal Gadot nei panni di Wonder Woman (in verità non lo è ancora, tanta è l’acqua che dovrà passare sotto i ponti) è prima di tutto simpatica, poi anche brava e riesce a rendere credibile l’incredibile, tenendosi ben lontana dal ridicolo. Funziona con la gonnellina striminzita da Amazzone e funziona anche con una tenuta a metà fra la divisa da suffragetta e una sahariana da esploratrice che sceglie come abbigliamento ideale per compiere la sua missione: uccidere il Male che ha l’aspetto di Ares, ovvero Marte, ovvero il dio della guerra. Insomma, una cosetta da nulla.
Magari ero bendisposta, ma l’ingresso nel mondo di Diana col suo Virgilio, Chris Pine, pilota e spia, l’ho trovato leggero e divertente, e la sfida non era facile, lui, l’eroe di guerra che si confronta con lei la guerriera di un altro mondo, ingenua, candida, idealista. In ogni momento si avverte la mano femminile della regista che rende garbato anche qualche doppio senso.
Ma quello che mi ha reso questo film simpatico, perché è questo l’aggettivo con cui riassumerei il mio giudizio, è il suo rimanere ancorato a una struttura narrativa tradizionale dimenticata dalla maggior parte dei blockbuster americani, imbottiti di effetti speciali, con trame confuse e attori che spariscono sovrastati dai blue screen e interventi digitali. Qui si respira una piacevole atmosfera da fumetto anni Quaranta, rivisitato con gli occhi di chi ha studiato a memoria I predatori dell’arca perduta.
Insomma, se avete 141 minuti liberi e la sana voglia di divertirvi, se non vi vergognate di tornare bambini e sorridere al candore, fatevi avanti. E buona visione.
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