PRENDILA CON FILOSOFIA

Per gestire l’ansia a volte basta chiedere un aiuto alla ragione

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Quello stato di disagio esistenziale così diffuso nella nostra società, più che un malessere oggettivo, è soprattutto un modo di sentirsi e di percepire l'ambiente che ci circonda. Dunque imparare a rapportarsi con esso e con gli stimoli che ci manda può rappresentare una via d'uscita

 

Soffro quasi cronicamente  di ansia, e sento che lo stesso accade a molte persone che conosco. Mi domando se si tratta di uno stato al quale dobbiamo giocoforza abituarci o se esistono delle strategie che possono aiutare a stare meglio. La filosofia può esserci d’aiuto?  
Caterina (Lecce)

Quella che noi percepiamo come ansia non ha origine quasi mai da un oggetto preciso e specifico che la giustifichi, ma è piuttosto un modo di sentirsi o di percepire l’ambiente che ci circonda. Il mondo oggi ci bombarda in continuazione di stimoli, perché non sono più solo i nostri cinque sensi a tenerci in contatto con la realtà, ma anche e soprattutto i molteplici mezzi di comunicazione – dalla Tv al tablet, dal pc allo smartphone – che utilizziamo in continuazione e che amplificano ogni nostra percezione, offrendoci nuove informazioni 24 ore su 24. Così, il nostro cervello è costretto a compiere continuamente e velocemente una serie di operazioni in sequenza: memorizzare i contenuti dei messaggi, decodificarli, collegare le varie informazioni ricevute, dare un senso al tutto raggruppando i concetti e molto, molto altro. E tutto ciò comporta tanta fatica a livello cognitivo.
Dobbiamo inoltre considerare che la nostra esistenza si svolge all’interno di un ambito temporale quotidiano che rappresenta una risorsa se lo sappiamo sfruttare al meglio e utilizzare con sano equilibrio, ma che si trasforma in un vero tiranno quando tendiamo a riempirlo in maniera esagerata, quasi a sovraffollarlo. Ed è proprio in questo caso che rischiamo di provare, in certi momenti, la sensazione di essere travolti da un’onda, da un qualche cosa che ci spiazza e che non riusciamo più a controllare, con il rischio di subire veri e propri attacchi di panico.
Come scrive Gerd B. Achenbach, padre della consulenza filosofica, nel saggio Il libro della quiete interiore, “quello che viene lentamente delineandosi è l’allestimento (o l’innalzamento) di una forza che domina e che penetra ogni fessura e ogni angolo, che si impossessa della mente di ciascuno di noi, che forza le decisioni che potrebbero essere invece fatte maturare con calma, che solleva e poi abbatte, che fa trionfare il nuovo e rifiuta il vecchio, che lascia velocemente invecchiare il nuovo e poi gli dà il benservito, che all’inizio si mostra lentamente e impercettibilmente per poi renderci cinici, arrendevoli e infine pazzi. Quello che è accaduto è stato un cambio al vertice, cioè il dominio su tutto il dominabile è passato al tempo”.
Prima di arrivare a questo punto, sarebbe opportuno saper ascoltare i campanelli d’allarme, anche se non è sempre facile riconoscerli, perché spesso non li percepiamo come tali. Per esempio, l’essere troppo performanti, quasi frenetici, nella pratica della nostra attività lavorativa può nascondere in realtà uno stato d’ansia che, se non riconosciuto per tempo, può portarci a un tracollo che ci costringerà a rallentare il ritmo o addirittura a fermarci.
L’ansia è qualcosa di irrazionale, che tuttavia può essere gestita con l’uso della ragione. In tal senso, il primo passo è saper trovare la capacità e l’occasione di ripensare il proprio tempo. Quando ci sentiamo particolarmente ansiosi, perché non proviamo a prenderci una pausa e a riflettere sul modo in cui stiamo strutturando le nostre giornate? Ci renderemo inevitabilmente conto di come ci troviamo costantemente in mezzo a un sovraffollamento di pensieri, di impegni, di informazioni e di preoccupazioni che non sono tutti ugualmente necessari e indispensabili. Qualcosa si può rimandare (per esempio, l’apertura di una mail ricevuta), qualcos’altro addirittura eliminare (per esempio, la lettura di notizie dai contenuti negativi sui mezzi di informazione o di notifiche sostanzialmente inutili sui social). Già una scelta di questo tipo ci può aiutare a fare spazio, a darci un ordine e, soprattutto, a non farci più sentire sommersi dal caos. Alleggerendo la quantità di stimoli, si alleggerisce inevitabilmente anche il carico emotivo. Dobbiamo, infatti, considerare che i pensieri provocano sempre emozioni in noi e le emozioni esercitano un grosso peso sul nostro benessere.
E, infine, non dimentichiamo che l’ansia, o meglio il sentirsi ansiosi, influisce negativamente anche sulle relazioni, soprattutto perché viviamo un periodo storico in cui essa rappresenta la modalità relazionale prevalente. A pensarci bene, questa rincorsa contro il tempo per poter fare/vedere/ascoltare tutto ciò che è possibile fare/vedere/ascoltare ci toglie lo spazio necessario per nutrire le relazioni, delle quali noi, come esseri umani, abbiamo bisogno per natura e che si nutrono di momenti di condivisione: sedersi davanti a una tazzina di caffè, incontrarsi per raccontare qualcosa di sé, esprimersi a vicenda emozioni che non si possono trattenere, confrontarsi per scoprire che c’è altro oltre il nostro orizzonte.
Ma, parlando di ansia, vale forse anche la pena di spostare il focus dal rapporto con il tempo nella nostra quotidianità a un piano più esistenziale, cioè quello della consapevolezza che nulla è certo e che tutto può cambiare da un momento all’altro. Abituarci alla condizione di esseri umani limitati e sempre in balia degli eventi è un lavoro quotidiano al quale non possiamo sottrarci.

 

Scrivetemi a: annalisacantu@signoresidiventa.com

 

 

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