Un seno nuovo? Prima di tutto rispondi a queste domande
Si parla tanto di protesi al seno e troppo spesso non è chiaro a che cosa esattamente ci si riferisca, né quali sono le migliori tecniche, le conseguenze di un intervento, i tempi di convalescenza e le “misure” giuste per ogni donna. Abbiamo chiesto al noto chirurgo estetico Paolo Santanchè (nella foto a sinistra) di spiegare quali sono le principali accortezze e le opportune precauzioni da prendere per non correre rischi se si vuole ricorrere a un intervento di mastoplastica additiva.
Qual è l’intervento di chirurgia estetica sul seno più richiesto?
Sicuramente la mastoplastica additiva, che consiste nell’inserire protesi che possono essere rotonde o anatomiche e che si possono inserire sopra o sotto il muscolo. Spetta alla paziente fare la scelta, dato che le protesi di ultima generazione sono anatomiche in gel coesivo, con diverse combinazioni di diametri che consentono di personalizzare al massimo il risultato. Ci sono però casi in cui può essere preferibile usare una protesi rotonda, ma quasi solo in caso di re-interventi. La paziente deve dire: “Io vorrei arrivare a questo risultato”, poi sarà il chirurgo a progettare come arrivare all’obiettivo, dopo aver valutato tutti i numerosi parametri. Attualmente, in nove casi su dieci, la protesi ideale rimane quella anatomica, perché ha infinite variazioni e consente risultati molto più naturali e stabili con un ridottissimo tasso di retrazione capsulare (cioè l’indurimento della capsula biologica che l’organismo crea intorno alla protesi). L’unico problema dell’anatomica, e per questo non è usata troppo spesso, è che è più difficile da impiantare. Essendoci, purtroppo, tanti chirurghi che cercano la via più facile e veloce, la tonda è quella privilegiata perché “come la metti la metti” e rimane sempre dritta. Se l’anatomica, invece, non è inserita correttamente, non va bene.
Tra le vie d’accesso per inserire la protesi ce n’è una preferibile?
Certo, si può incidere nel solco sottomammario, attraverso l’areola oppure attraverso l’ascella. Il solco sottomammario è la scuola elementare perché è la più facile e la visuale è ottimale per l’intervento, però la cicatrice poi si vede. Oppure c’è la via periareolare: la cicatrice è posta nel cambio di colore attorno all’areola, una zona delicata e cruciale, ed è visibile già a venti centimetri di distanza. Senza contare i lati negativi: se la paziente ha un’areola piccola, bisogna usare una protesi piccola. Tecnicamente poi occorre fare uno scollamento sottocutaneo fino al solco e poi tornare su o attraversare la ghiandola: entrambe le vie sono comunque invasive e quindi, secondo me, non rappresentano una buona scelta.
Qual è allora la scelta migliore per chi vuole ricorrere a questo tipo di interventi al seno?
La via ascellare: non c’è alcuna cicatrice vicino al seno, si passa direttamente dietro alla ghiandola o dietro al muscolo pettorale. C’è da dire, però, che l’intervento è un po’ più difficile perché va eseguito in endoscopia e quindi bisogna essere padroni della tecnica, che è poco invasiva perché non si attraversa la ghiandola, si vede tutto ingrandito attraverso lo schermo e si può lavorare con la massima precisione. Inoltre, le cicatrici sono nascoste e anche questo ovviamente è importante.
La paziente dev’essere informato sulla tecnica che verrà utilizzata?
Per legge un medico dovrebbe sempre informare il paziente non solo della tecnica che utilizzerà, ma anche delle possibili alternative terapeutiche. Però, in pochi lo fanno. È bene sapere, dunque, che dalla via ascellare la mastoplastica additiva si può fare, sempre, a tutte le donne, con qualunque dimensione di protesi.
Come si sceglie, invece, la “misura” più adatta?
La maggior parte delle pazienti sono timide e collegano erroneamente il “grosso” con “innaturale”. Naturale è la forma, non la dimensione. Si possono vedere seni piccoli e innaturali, come invece seni grandi e naturali. Spesso, e non a caso, bisogna intervenire di nuovo proprio su pazienti a cui sono state impiantate protesi troppo piccole. Prima dell’operazione, dunque, è bene studiare attentamente il caso, magari chiedendo alla paziente di portare foto per capire con sicurezza la dimensione che desidera. Ovviamente, la protesi più è piccola e più è facile da inserire e quindi molti chirurghi, tornando al discorso già fatto prima, sono ben contenti se la paziente sceglie una misura inferiore. Nella mia esperienza, nove volte su dieci, se dovessi fermarmi alla prima richiesta, farei un seno che, una volta assestato, la paziente considererebbe un po’ scarso. La parte più difficile, per avere un buon risultato, è proprio quella di leggere nella testa della paziente. Tutti abbiamo un’immagine distorta di noi stessi, magari ci perdoniamo dei difetti più vistosi mentre ne drammatizziamo altri insignificanti. Un bravo chirurgo deve riuscire a capire come la persona si vede e poi mediare per trovare la soluzione giusta.
Che cosa deve sapere la paziente prima di affrontare l’operazione?
Deve sottoporsi a tutti gli esami del caso, assicurarsi che sia presente un buon anestesista e accertarsi che l’intervento venga eseguito in una struttura con la sala operatoria a norma e idonea all’impianto di protesi, in clinica o in day hospital, perché dove si impianta una protesi il rischio di infezione è maggiore e quindi deve essere fatta in un ambiente super sterile. Non si può mettere una protesi in un banale ambulatorio chirurgico.
E per le aspettative?
È importantissima la visita, perché il punto di partenza condiziona sempre il punto di arrivo, per cui ci sono casi ideali per l’intervento, casi non indicati e casi in cui si possono avere risultati buoni ma non strepitosi. Il chirurgo che ha esperienza sa predire il risultato e spiegarlo con chiarezza alla paziente, in modo tale che anche lei possa valutare realisticamente, evitando che immagini cose di immaginare risultati che non potrà ottenere. Per esempio, la protesi non solleva il seno, lo aumenta, ma resterà nella posizione iniziale. Se il seno è sceso troppo e il capezzolo è al di sotto del solco sottomammario si dovrà ricorrere a una mastopessi, ovvero al sollevamento del seno, o a una mastopessi con integrazione protesica, interventi che sollevano e modellano perfettamente un seno sceso e svuotato, ma che comportano cicatrici visibili che non tutte le pazienti sono disposte ad accettare. Se si ha il seno “borderline” si potrà solo utilizzare una protesi medio-grande iperproiettata: con una protesi adatta, che distenda comunque la pelle e porti in avanti il capezzolo. Si può ottenere un buon risultato, anche in caso di seno un po’ sceso, perché in natura tutte le “tette” grandi non sono alte come quelle piccole. Se su un seno rilassato si applicano, invece, delle protesi piccole, il risultato sarà un palloncino con la pelle molle che ricade attorno: non proprio il massimo.
In media, quanto costa un buon intervento di mastoplastica additiva?
Non può costare poco perché va fatto in una clinica o in una day surgery ben attrezzata e la qualità si paga. Bisogna avvalersi di un buon anestesista che si occupi solo ed esclusivamente della paziente, bisogna utilizzare un materiale di buona qualità e metterci tutto il tempo che ci vuole. Per l’estetica non si può rischiare la salute.
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